Respinta la richiesta di costituirsi parte civile di 5 associazioni contro la violenza di genere. “Decisione inquietante e molto preoccupante”, spiega il Coordinamento
BOLOGNA – Secondo la Corte d’Assise di Bologna il delitto Stefani non fu un femminicidio. Al termine di quasi un’ora di Camera di Consiglio, i giudici hanno accolto la richiesta dei difensori di Giampiero Gualandi, il 63enne ex comandante della Polizia Locale di Anzola Emilia a processo con l’accusa di omicidio volontario aggravato, dai futili motivi e dal legame affettivo, della collega Sofia Stefani, 33 anni, con cui aveva una relazione extraconiugale, uccisa il 16 maggio 2024 da un colpo partito dalla sua pistola d’ordinanza all’interno del Comando: quello che lui ha sempre sostenuto essere stato un incidente al termine di una colluttazione. L’imputato, ora ai domiciliari, era assente in aula nel corso della prima udienza, nel corso della quale la Corte presieduta da Pasquale Licciardo ha stabilito che “le condotte non permettono allo stato degli atti di ricondurre il fatto alla definizione di femminicidio, mancando qualsiasi riferimento alla lesione della sfera di autodeterminazione della donna, ad atti di maltrattamento, discriminazione e prevaricazione tipici della violenza di genere. Un giudizio con cui è stata anche la richiesta di costituzione di parte civile nel processo avanzata da 5 associazioni impegnate contro la violenza sulla donne: Udi, Casa delle donne, Sos Donna, Mondo Donna e associazione Malala