Andrea Cavallari, uno dei ragazzi condannati per aver fatto parte della banda dello spray, che nel dicembre 2018 causò morti e feriti nella discoteca di Corinaldo, non ha fatto rientro in carcere alla Dozza dopo aver discusso la laurea in Giurisprudenza all’università di Bologna
BOLOGNA – Aveva un permesso, concesso dal magistrato del Tribunale di Sorveglianza per sostenere la discussione della tesi di laurea. Una volta laureatosi, sarebbe dovuto tornare in carcere. E invece non c’è tornato Andrea Cavallari, uno dei componenti della banda dello spray, quella che nella notte tra il 7 e l’8 dicembre del 2018 provocò la morte di cinque minorenni e di una mamma di 39 anni all’interno della discoteca Lanterna Azzurra di Corinaldo, in provincia di Ancona.
Cavallari era detenuto alla Dozza dove stava scontando una pena definitiva a 11 anni e 10 mesi, ma da giovedì scorso ha fatto perdere le sue tracce. Secondo le ricostruzioni, la notizia è stata data dal Corriere di Bologna, il giovane è uscito per andare in università accompagnato dai familiari e senza la polizia penitenziaria. Cavallari si è laureato in Giurisprudenza dopo essersi iscritto al corso triennale dell’Alma Mater, con specializzazione in Consulente del lavoro e delle relazioni aziendali. Dopo la proclamazione avrebbe fatto perdere le proprie tracce. Cavallari era stato arrestato ad agosto 2019 dai carabinieri del nucleo investigativo di Ancona insieme ad altri sei membri della banda, ragazzi tra i 19 e i 22 anni della Bassa Modenese, che utilizzavano lo spray al peperoncino per creare confusione nei locali e rubare il possibile. A vario titolo sono stati accusati e condannati di omicidio preterintenzionale plurimo, furto, rapina e lesioni personali. In quel caso il panico causato e la fuga conseguente, causarono i sei morti e 59 feriti. nei guai anche un ricettatore, mentre quello che è ritenuto l’ottavo componente del sodalizio, il, bolognese Riccardo Marchi, è stato condannato anche in appello dalla Corte d’Assise, che ha confermato la condanna a 10 anni e 5 mesi in primo grado. Potrà ora ricorrere in Cassazione