Secondo il centro studi le piccole imprese emiliano-romagnole pagano, rispetto a Google e soci, 40 volte più tasse sul fatturato. Zabeo: “UE non ceda al ricatto”
BOLOGNA – L’insofferenza verso la linea italiana ed europea sui dazi continua a montare: mesi di negoziati imperniati sulla spesa militare a carico degli alleati NATO sembravano aver sbloccato l’impasse, ma niente. Trump minaccia tariffe del 30% a partire dal primo agosto, che è dietro l’angolo; e ancora una volta non tanto i mercati, ormai impermeabili agli annunci del Tycoon, quanto le imprese soprattutto piccole, tremano. Se Trump non si ferma “l’Europa dovrà rispondere”, insiste il presidente della CGIA di Mestre, autrice di un calcolo inquietante sulla tassazione dei colossi tecnologici americani: su 9,3 miliardi di euro di fatturato raccolto in Italia nel 2024, le prime venti aziende digitali del mondo hanno pagato appena 206 milioni di euro di tasse; in proporzione, le piccole e medie imprese emiliano-romagnole pagano sui propri guadagni quaranta volte di più. Questa è la partita che si gioca dietro le quinte del braccio di ferro sui dazi: l’America vuole meno regole, meno restrizioni e meno tasse sulle proprie attività nell’Unione Europea, che invece su questi fronti sta introducendo regole più stringenti. La cosiddetta Global Minimum Tax, chiesta dagli Stati Uniti in un recente vertice sul commercio, è ad appena il 15% sui fatturati sopra i 750 milioni di euro; e intanto, nel braccio di ferro, le imprese italiane rischiano un danno fino a 35 miliardi di euro l’anno.