La stima relativa ai beni pubblici si assesta al momento intorno ai 70mila euro. Trenta gli attivisti dei collettivi identificati. Anche dal presidente della Regione, intanto, sono arrivati la condanna per quanto successo e un invito ad abbassare i toni.
BOLOGNA – Una trentina di persone identificate dalla Digos, riconosciute come appartenenti ai collettivi e la cui posizione è ora al vaglio degli investigatori, e che vanno ad aggiungersi ai due denunciati già nella notte di sabato. Settantamila euro di danni a beni pubblici stimati al momento, secondo il sindaco Matteo Lepore, più 17 cassonetti bruciati, 11 cestini distrutti e naturalmente le numerose scritte sui muri della città, comprese quella su San Petronio e sugli uffici e residenze della comunità ebraica. Sono i numeri del bilancio degli scontri e dei danneggiamenti di cui è stata vittima Bologna, delle violenze che hanno di fatto preso il posto del presidio organizzato in città in memoria di Ramy, il giovane milanese morto lo scorso 24 novembre durante un inseguimento con i Carabinieri. Il sindaco Matteo Lepore si è fatto portavoce di “una forte rabbia dei cittadini che è anche la mia”, ha detto, cercando di fare fronte comune con la forze dell’ordine, di lanciare comunque un appello al dialogo ai giovani scesi in piazza e per le strade e di allontanare le polemiche politiche, relative anche alla bandiera palestinese esposta a Palazzo d’Accursio di cui è stata chiesta la rimozione. “Non ha nulla a che fare con l’odio e quanto è accaduto sabato – ha spiegato – è stata, ed è una doverosa presa di posizione in favore del rispetto dei diritti umani”. Una comunità di intenti auspicata e sottolineata anche dal presidente della Regione Michele de Pascale.